In ricordo di Antonio Ricca ed Aurelio Pampena

Il 17 Ottobre, il giorno successivo al rastrellamento di 1259 persone nel ghetto di Roma, ricordiamo il barbaro assassinio di Aurelio Pampena ed Antonio Ricca avvenuto a Maranola, nel 1943, nei primi di quei 250 giorni che sconvolsero Formia, occupata dai tedeschi, bombardata dagli alleati e cannoneggiata dagli inglesi.

Il fatto. Nell’ottobre del ‘43 sui monti Aurunci, i nazifascisti avevano catturato la contessa Pellegrino ed il tenente Mario Corvino, ufficiale dell’esercito rifiutatosi, come tanti, di consegnare le armi dopo l’8 settembre, giorno dell’armistizio di Cassibile tra Italia e alleati. Al ritorno da quella spedizione, sembra che i Tedeschi subirono un attacco partigiano in cui il tenente Corvino morì. Il fatto diede il via alla rappresaglia nazifascista che avvenne il 17 ottobre ’43. Quella domenica, festa di San Luca, patrono di Maranola, i tedeschi guidati dal fascista Rocco (o Franco) Palmieri circondarono il paese e perquisirono le case alla ricerca di partigiani. Il sospetto cadde sui “guardiafili” uomini impegnati a controllare la linea telefonica tra Maranola e Formia, guidati da Antonio Ricca, maestro elementare, capitano degli Alpini e delegato del sindaco di Formia a Maranola. Quando i Tedeschi irruppero nella casa del delegato fu scoperta la pistola d’ordinanza del Maestro Ricca. Negli stessi momenti fu catturato Aurelio Pampena, operaio che insieme ad altri maranolesi formavano la squadra dei “guardia fili”. Il fatto si tramutò in tragedia. Il Palmieri trascinò il delegato fuori casa, lo trasportò poco distante, e lo affiancò ad Aurelio Pampena. Qui fu dato un ultimato di un’ora affinché altri Guardiafili si consegnassero. Trascorso il tempo dato, dopo averli picchiati, Palmieri uccise entrambi senza processo.

Questo è solo uno dei fatti che sconvolse Formia. Prima c’era stato un settembre nero. La guerra cominciò a coinvolgere la città alcuni giorni prima dell’8 settembre. Quel dì fu festa, ma durò poco! Già la sera le truppe tedesche occuparono stazione, porto e centrale telefoni, sostituendosi ai militari italiani. Dopo i tedeschi, il mattino del 9, arrivarono le prime bombe sganciate dagli aerei alleati, che colpirono Piazza Mattej, la traversa Colagrosso e la stazione ferroviaria. Formia pianse le prime vittime: Augusto Di Nucci 29 anni, e Rosaria Pellegrino 43 anni. Il 10, bombardieri a bassa quota colpirono una colonna tedesca sull’Appia nel quartiere di Mola, distruggendo il Pastificio Paone, lo stabilimento di laterizi D’Agostino e numerosi edifici tra cui altre Fabbriche, i palazzi Albano, Colarullo, Riccardelli, Petrone e Recco. Fu distrutta anche l’erigenda chiesa dei Santi Lorenzo e Giovanni Battista, l’antico castello di Mola e il vecchio ponte a due arcate di Mola. I morti tra militari tedeschi, italiani e civili furono 70-75. I feriti furono duecento. L’11 settembre 500 i formiani cercarono rifugio nella galleria ferroviaria. Altri si rifugiarono sui monti di Itri, nelle campagne di Ponzanello, Mamurrano, Gianola e Acquatraversa e sulle colline di Sant’Antonio, Pagnano e di Santa Maria La Noce. Altri ancora raggiunsero le frazioni della città: Maranola, Trivio e Castellonorato. I Tedeschi in una Formia ormai deserta attuarono un piano di distruzione delle strutture e dei palazzi della città. Caddero il Real Liceo Ginnasio, diversi edifici civili ed il porto. La notte del 29 settembre un bombardamento ha distrutto il Palazzo Comunale (appena sgombrato), vari edifici di Via Vitruvio e Largo Paone, la parte orientale della Via Appia e la collina di Santa Maria La Noce. Le vittime di questo nuovo bombardamento furono 30. Poi la tragedia di Maranola ed altre che racconteremo a tempo debito.

Al termine della guerra la nostra comunità, all’epoca di appena 11000 abitanti, contò 1567 morti, di cui 1412 civili e 155 militari, al netto dei dispersi, e circa 1000 invalidi civili.

Questa è la vera faccia del fascismo. Un movimento politico sorto all’esito della prima guerra mondiale che intendeva dare una risposta alla dura crisi economica che investì l’Italia. Storicamente si è rivelato una sciagura per la nostra gente pagata con la povertà, con le persecuzioni e la morte. Per il nostro territorio è stato un acido che per mezzo di guerra, che doveva essere lampo, ha sfigurato l’impianto romano, distruggendo tutte le tracce di quella romanità a cui oggi alcuni imbecilli si rivolgono per invocare una nuova dittatura.

Ecco perché per noi l’unico aggettivo che può accompagnare il fascismo è infame!

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